Roberto Vecchioni: l’eterno ragazzo continua a dar lezione e si commuove

Roberto Vecchioni ieri 25 luglio era in concerto in piazza a San Felice Circeo, qualche giorno fa Calcutta riempiva lo stadio Francioni a Latina, circa 15.000 persone.

Hai la possibilità di rubargli due minuti prima del concerto, giusto il tempo di due domande al volo. La prima che ti salta in mente la rimuovi subito, non hai il coraggio di farla. Lo hai sempre visto come una persona schietta, diretta, “il Professore”, di sicuro di quelli che ti inquadrano subito. Viene dalla vecchia scuola, quella dei cantautori del novecento e non osi fare accostamenti, per rispetto. Vecchioni non parla certo di “orgasmi” eppure userà qualche espressione forte durante il concerto parlando di come abbiamo distrutto la democrazia. Le sue canzoni sanno accarezzare l’anima, a volte con un velo di malinconia, sono racconti, hanno fatto scuola, fanno riflettere.

Prendo spunto dal sottotitolo del suo ultimo libro “La vita che si ama. Storie di felicità”. Cos’è la felicità per Roberto Vecchioni?

E’ nelle piccole cose, è saper leggere le emozioni. E’ nel non ferire gli altri. Non è niente da costruire ma è tutta nell’arte di saper riconoscerla in ciò che si ha, in ciò che ci circonda. E’ un guardarsi dentro e apprezzare le persone che abbiamo intorno, anche se diverse da noi. E’ nella capacità di saper superare i momenti difficili, è lì la felicità.

Da insegnante come vede la scuola oggi? Vede uno scenario felice? Oggi la scuola è in grado di tracciare, di indicare una via per la felicità per i ragazzi, per la società?

Il suo sguardo si fa cupo, ha insegnato 28 anni in un liceo classico a Milano, conosce il mondo della scuola, sa di cosa parla.

– Non vedo una bella situazione, ma non da ora e non mi riferisco alle differenze territoriali. Non è stato fatto più nulla già da parecchio. La scuola oggi -continua- si tiene in piedi solo grazie ad insegnanti volenterosi e agli studenti che ci credono. Non mi faccio più illusioni. Ormai non ci spero più, mi sono rassegnato. Ho un’idea non rosea purtroppo, la scuola è ferma, è indietro e di parecchio.

Annuisco, ripenso alla prima domanda che mi è venuta in mente, non la faccio, gli chiedo una foto, lo ringrazio e lo lascio al suo pubblico, alle sue canzoni.

Il concerto è un crescendo, due ore e mezza senza sosta, 75 anni e non sentirli, presenta la band, c’è metà della PFM. Inizia con Stranamore (pure questo è amore), poi Bandolero stanco, La mia ragazza. Fino a mezzanotte tutto d’un fiato. Ad ogni canzone la sua introduzione puntuale.

Annuncia “Io non appartengo più” parlando di quando la libertà era democrazia, quando però non c’erano persone su internet a buttar fango su altre, dice che era il novecento, non il duemila e lui a questo millennio appartiene poco, come anche altri, non solo della sua età ma anche più giovani che hanno comunque vissuto il novecento e faticano a riconoscersi in questo tempo. Continua dicendo che siamo figli diretti della democrazia ma che a forza di masturbarla -si, usa proprio questo termine- l’abbiamo distrutta.

Nell’introdurre “Le lettere d’amore” definisce Pessoa un Leopardi al cubo. Viene fuori il professore di lettere, continua raccontando di quando ha scritto “Sogna ragazzo sogna” per i ragazzi del suo ultimo terzo liceo per accompagnarli alla maturità e alla vita. Una canzone di speranza che lo porterà alla fine a commuoversi:

“sogna ragazzo, sogna
Piccolo ragazzo nella mia memoria
Tante volte tanti dentro questa storia
Non vi conto più.
Sogna ragazzo sogna
Ti ho lasciato un foglio sulla scrivania
Manca solo un verso a quella poesia
Puoi finirla tu.”
La vita che si ama tour è un invito a guardarsi dentro, nell’anima…e a sognare.
Peccato per i ragazzi assenti”.

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originale su LatinaQuotidiano.it©
Author: Stefania Paoloni

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