Operazione Scarface, il clan come Idra, tagliata una testa ne ricresce un’altra. Il Questore Spina: “Battaglia vinta, ma la guerra è aperta”


LATINA – Nonostante la lunga serie di precedenti operazioni collezionate dalla squadra mobile di Latina, il clan Di Silvio era vivo e vegeto. Come la mitologica Idra, tagliata una testa, ne ricresce un’altra. Non sono bastate Caronte, Don’t Touch, Alba Pontinia, Movida Latina, e le altre. Per spezzare il dominio del clan stanziale a Latina, la Dda di Roma ha coordinato ora l’inchiesta Scarface (33 ordinanze di custodia cautelare di cui 27 in carcere) tornando a contestare alla luce delle indagini, oltre che delle dichiarazioni dei pentiti, i reati di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, estorsione, sequestro di persona, spaccio di droga, furto, detenzione e porto abusivo di armi, reati aggravati dal metodo mafioso e da finalità di agevolazione mafiosa.
“Questa operazione ha restituito il quadro più attuale dell’operatività del clan – spiega il Questore Michele Spina – Grazie alle operazioni abbiamo per larghissima parte disarticolato il clan, ma non bisogna mai pensare che una battaglia vinta, costituisca l’esito conclusivo della guerra: la battaglia è vinta, ma la guerra è aperta e ogni spazio di legalità riconquistato va difeso e preservato”.
Con l’aiuto del Questore di Latina abbiamo provato a dare una lettura all’operazione Scarface: “Occorre uscire dall’assoggettamento, invitiamo tutti i cittadini, i commercianti e gli imprenditori a denunciare ogni tentativi di sopraffazione e a raccontarci le cose quando succedono”.

GLI ARRESTATI – L’elenco dei nomi è lungo e comprende praticamente tutta la galassia del clan Di Silvio, alcuni rimasti esclusi dalle precedenti operazioni, ma anche veterani e nuove leve, affiliati e donne, gli esponenti di spicco in carcere come Giuseppe Di Silvio detto Romolo condannato in via definitiva per l’omicidio di Fabio Buonamano e capo del clan. L’ordinanza ha raggiunto anche Carmine Di Silvio detto Zio Sale e ancora Costantino Di Silvio detto Costanzo (58 anni); Costantino  Di Silvio detto Cazzariello (23 anni); Antonio Di Silvio detto Patatino; Ferdinando Di Silvio detto Prosciutto; Ferdinando Di Silvio detto Pescio; In carcere anche Fabio Di Stefano detto “Il siciliano”  Daniel Alessandrini detto “Tyson”; Mirko Altobelli, detto “Il sinto”. Arrestati anche Angelo Crociara; Casimiro Ciotti; Mirko Lolli; Riccardo Mingozzi; Daniel De Ninno; Michele Petillo; Alessandro Mingozzi; Alessandro Di Stefano; Giulia De Rosa detta “Peppina”; Manuel Agresti; Marco Ciarelli; Simone Di Marcantonio; Salvatore Di Stefano; Franco Di Stefano; Simone Ortenzi; Domenico Renzi; Alessandro Zof; Massimiliano Del Vecchio.
Chi di loro, questa mattina all’alba, si è trovato sull’uscio i poliziotti delle Squadre Mobili di Latina e Roma e del Servizio Centrale Operativo, non ha battuto ciglio. Poco dopo le 13, terminate le procedure di identificazione, si sono mosse dalla Questura in Corso della Repubblica le auto della Polizia: in 12 sono stati portati nel carcere di Sulmona, gli altri in penitenziari del centro e sud Italia. Ai domiciliari sono rimasti Anna Di Silvio detta “Gina”, Romualdo Montagnola, Yasine Slimani detto “Stefano”, Sara Bianchi, Roberto Di Silvio detto “Berzotto”, Marco Maddaloni detto il Pittore”.
ROMOLO IL CAPO – Era Giuseppe Di Silvio detto Romolo l’attuale indiscusso capo del clan stanziale a Latina. Dal carcere impartiva ordini, e disponeva chi e cosa si dovesse fare. Inequivocabili e inquietanti le intercettazioni telefoniche nel carcere di Rebibbia. La sua longa manus, oltre ai figli, Fabio di Stefano con il quale era imparentato. Come funzionava lo avevano riferito i collaboratori di giustizia Renato Pugliese, Agostino Riccardo, Maurizio Zuppardo ed Emilio Pietrobono, spacciatore quest’ultimo, anche vittima di un sequestro di persona che ha rischiato di sfociare in un regolamento di conti a mano armata tra i clan Ciarelli e Di Silvio. Poi, lo hanno confermato le indagini condotte anche con l’aiuto di intercettazioni telefoniche e ambientali.
“E’ come se stessimo riavvolgendo il nastro – spiega  il dirigente della squadra mobile di Latina Giuseppe Pontecorvo – Quando è stato arrestato Armando Lallà Di Silvio (oggi condannato in primo grado a 24 anni di carcere per associazione mafiosa) aveva approfittato di un vuoto, occupando uno spazio lasciato libero dagli altri esponenti del clan arrestati nelle precedenti operazioni Caronte e Don’t Touch che avevano messo fuori uso, da una parte un ramo della famiglia Di Silvio e dall’altra la famiglia Travali”.
Eppure, dopo anni di inchieste e risultati investigativi, c’è ancora tanta omertà a Latina, troppa paura di vendette e ritorsioni da parte del clan, ed è questo che ridà ossigeno all’organizzazione criminale. I commercianti non denunciano le estorsioni, il clan continua a taglieggiare: magari colazioni e pranzi gratis in noti ristoranti e bar, contanti presi dalla cassa, capi d’abbigliamento portati via senza pagare, o anche somme più consistenti con cui foraggiare le famiglie di chi ha i familiari in carcere. “Episodi – dicono gli investigatori – capaci di incutere timore, di  piegare la volontà delle vittime in alcuni casi vessate da anni, in clima di omertà ingenerato proprio dal terrore che gli appartenenti al clan incutono sulla popolazione locale”.
Il clan resta dominante nel traffico di droga e si impone non solo a Latina (nella zona dei pub, gli investigatori sono stati costretti a intervenire arrestando le giovani leve che ormai fuori controllo giravano armate), ma anche in piazze vicine, come a Priverno, Sezze e Pontinia.
 
Il dirigente della squadra Mobile Giuseppe Pontecorvo

 
 
originale su Radioluna ©
Author: Roberta Sottoriva

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