Giuseppe Ciarrapico è morto e il mio ricordare


Giuseppe Ciarrapico

E’ morto Giuseppe Ciarrapico a 85 anni. Ho lavorato con lui per più di tre lustri, tanto. Ho lavorato con  lui nell’avventura di “inventare” i giornali locali (Ciociaria Oggi e Latina Oggi). Senza di lui non avrei fatto di certo questo lavoro, era un lavoro chiuso e di casta, tranne questa bislacca scommessa che mutuò da un viaggio in America: “Nel Bronx c’è un giornale del Bronx, ho deciso di farlo pure io”. Così iniziò una avventura che ancora dura sotto altre vesti. Mi direte, ma come era? Prima vi dico che per molti anni fu un editore perfetto, non interveniva mai, discreto oltre il credibile, poi…

Cominciamo, era fascista. Sì, nel senso della parola di quella arroganza che reinventava la storia, la manipolava, che la vita era gerarchia, che lo Stato non era un valore ma una macchina da piegare alla forza del momento. Era tutto una grande opera lirica di una grandezza nana. Ebbe il merito di editare libri che sono dentro il bisogno di capire la destra italiana, non quella liberale, e far vedere il grigio e non solo il nero di un mondo.

Era fascista nella versione ciociara che ancor più di quella italiana si “adatta” ai nuovi recipienti democratici e ci sta pure bene. Giulio Andreotti iniziò con la corrente di destra de La Vespa, con i soldi di Piaggio, il sostegno dei preti di quella roma nera così poco italiana. Ciarrapico seguì naturalmente questo naturale fare le cose. Acque minerali, squadre di calcio, giornali, sanità faceva tutto, a suo modo e nel modo di Andreotti.

Il sabato si saltava il cerchio di fuoco, ma era finito il fuoco i cerchi erano rotti, e il salto rimandato davanti a due bucatini mangiati con la maglia di lana.

Era così, una sera a cena nella sua villa al Circeo, quella che prima di lui era di Renato Rascel, davanti ad un fighetto che era diventato deputato europeo per la destra la cui signora reclamava che “A San Felice non si può stare, a giocare a tennis vengono anche le mogli dei parrucchieri…”, si incazzò: ma da n’do cazzo venite, ma chi ve credete desse, come potemo vince con noi”. Era psichedelico, la politica non era ragionamento ma prova di forza, e la politica coincideva con il potere. Una volta mi chiese di invitare esponenti politici proprio nella sua “dimora”, attico di Quisisana, lo feci, vennero tutti, solo dopo mi accorsi che stava lì agli arresti domiciliari.  Il concetto di amico-nemico era cangiante, era rapido, era consumato come si consuma un sorbetto e l’amico di ora, tra un minuto era nemico mortale, poi…

Fascista appunto, e ne faceva vanto, ma il suo aspetto sovrappeso coincideva con certe macchiette contro il regime.

Era presidente della Roma e ci invitò per Natale da Rosati a piazza del Popolo, per altro locale suo. L’invito era in carta pergamena, una cosa seria, ero all’inizio della mia professione, squattrinato come poi, ed era il primo invito importante. Era di rigore l’abito e la cravatta, va da se che non avevo, né l’una né l’altra. Mi prestarono tutto, di mio avevo solo gli slip e la maglia di lana. All’entrata del locale una signora (era la prima volta anche questa) mi chiese: “favorisca il soprabito”. Panico… “guardi non lo posso lasciare”. Lei: perché? “Non è mio”. “come non è suo, lo indossa”. “Sì, ma mio non è”. La discussione duro un poco, si faceva la fila. Lasciai il soprabito e passai tutta la serata a capire come recuperarlo, alla fine da setino fino, aspettai l’uscita di tutti, quello che avanzava era mio. Fidando nell’onesta di tutti.

Mi portò a Ferrara nell’ufficio di Italo Balbo per fare il giornale del congresso di An che si teneva a Bologna. Ho lavorato sulla scrivania dell’atlantico, mi prese una stanza al Baglioni di Bologna che una stanza così mai più nella mia vita, era come stare altrove. E mi “fregai” le ciabattine scendiletto che hanno vissuto con me altri 15 anni, era il 2002.

Ogni uomo ha i suoi pro ed i suoi contro, ogni uomo è tante cose. Non mi pento di averlo lasciato perchè non condividevo la sua politica, la sua arroganza, ma questo non mi esime dal dire che qualche luce c’era. Ho visto colleghi battergli i tacchi come facevano gli ufficiali prussiani, potenti fare gli impotenti e anche lui sentirsi da meno come quella volta con Caracciolo a Torre Vecchia a Cisterna… ma queste sono altre storie.

Quando sono andato via mi ha tolto il saluto, era sua volontà non salutarmi in vita non lo faccio ora.  Il ricordo, però, è di ciascuno, io vi ho detto i miei. Non posso dirmi di non essermi anche divertito con lui in incredibili cene, incontri, litigi. Resta che non era uno normale, era fascista e credo che questo volesse si dicesse ora. Ma ben altri ne tesseranno le lodi, io non sono tra questi, ma non nego la mia esperienza con lui.

 

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Author: Lidano Grassucci

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